Poeta italiano. Avviato dal padre agli studi giuridici, dopo pochi anni
abbandonò l'università e decise di dedicarsi alla poesia. La sua
formazione culturale si completò e approfondì presso le corti dei
grandi feudatari del Regno di Napoli. Nel 1592 fu assunto come segretario da
Matteo di Capua, principe di Conca, e cominciò a farsi conoscere come
poeta; alla sua corte conobbe il Tasso e a favore di quest'ultimo si
schierò nella questione intorno al primato tra Ariosto e Tasso sollevata
dagli accademici della Crusca. Secondo l'opinione di
M. Tasso era
più moderno di Ariosto, e la sua esperienza poetica dimostrava come la
poesia potesse evolversi anche al di fuori degli angusti modelli petrarcheschi.
Questa influenza tassiana è ravvisabile nella prima raccolta delle
Rime, pubblicata a Venezia nel 1602. Nel 1600
M. fu costretto a
fuggire da Napoli, dopo essere stato arrestato per la falsificazione di alcune
bolle vescovili. Si rifugiò poi a Roma, dove entrò al servizio del
cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. Oltre a stringere nuovi
fecondi rapporti letterari con i membri dell'Accademia degli Umoristi (A.
Tassoni, P. Sforza Pallavicino, A. Mascardi, G. Chiabrera),
M. si
dedicò allo studio della patristica e della teologia, di cui fece tesoro
nelle
Dicerie sacre. Al seguito del cardinale Aldobrandini si recò
dapprima a Ravenna e nel 1608 a Torino, alla corte di Carlo Emanuele I. Entrato
nelle grazie del duca per i suoi meriti letterari, venne insignito nel 1609
dell'ordine mauriziano (da cui la frequente designazione di "cavalier
M."), suscitando l'invidia del rimatore genovese G. Murtola, con cui
aveva avuto in precedenza un'aspra contesa letteraria. Nel 1610
M.
lasciò definitivamente il cardinale Aldobrandini per passare al servizio
del duca Carlo Emanuele. Nel 1614 furono pubblicate le
Dicerie sacre,
un'opera prosastica di argomento religioso, e la
Lira, comprendente le
liriche precedentemente contenute nei due libri delle
Rime, oltre a un
terzo libro. Nel 1615 si trasferì a Parigi, ospite in un primo tempo
della regina madre Maria de' Medici e poi del re di Francia Luigi XIII. Gli anni
del soggiorno parigino decretarono il trionfo cortigiano e letterario di
M.: conquistata una posizione di prestigio nella capitale francese grazie
alla sua abilità nel procurarsi il favore dei potenti, pubblicò
nel 1616 gli
Epitalami e panegirici, una serie di componimenti di
carattere encomiastico che costituiscono lo strumento di promozione della sua
presenza a corte; nel 1617 la
Sferza, un'invettiva contro gli ugonotti a
difesa della religione cattolica; tra il 1619 e il 1620 la
Galeria e la
Sampogna, rispettivamente una sorta di catalogo di opere d'arte
figurativa, descrizione di quella raccolta di quadri e disegni che l'autore
andava allestendo in quegli anni come propria collezione privata, e una raccolta
di idilli di argomento mitologico e pastorale sul modello dell'
Aminta di
Tasso e del
Pastor fido di Guarini. Infine nel 1623 uscì a Parigi
l'
Adone, il poema mitologico in ottave che costituisce il suo capolavoro
poetico. Accolto trionfalmente come il più grande poeta del secolo, nello
stesso anno
M. fece ritorno in Italia al seguito del cardinale Maurizio
di Savoia e si stabilì prima a Roma e poi definitivamente a Napoli. Allo
straordinario successo dell'opera fece seguito una nuova polemica letteraria con
Tommaso Stigliani e altri scrittori affermati, che tacciarono il poeta di furti
letterari, mentre su un altro versante la materia spesso lasciva del poema
attirò su di esso la censura ecclesiastica e i sospetti
dell'Inquisizione. Ciononostante
M. venne nominato principe della
Accademia letteraria degli Oziosi. Morì dopo aver dato ordine di bruciare
tutti i suoi scritti inediti. Alcune opere sopravvissero alla volontà di
distruzione espressa dall'autore e furono pubblicate postume. Oltre agli scritti
già menzionati bisogna ricordare: le
Ecloghe boscherecce (1627),
le
Lettere (1627-29) e il poema sacro
La strage degli innocenti
(1632). Una produzione letteraria così vasta ed eterogenea testimonia
l'intenzione di
M. di cimentarsi con tutti i generi letterari esistenti
per affermare universalmente la superiorità della sua concezione poetica
su quella degli autori che lo precedettero. Nella sua opera è evidente
l'ambizione di rifare ogni tipo di linguaggio letterario, per dimostrare di
possedere non solo la piena padronanza di esso, ma anche la capacità di
ricrearlo in modo originale. Costante nella scelta dei modelli appare la
preoccupazione di stabilire fra sé e i predecessori una relazione di
continuità ma al tempo stesso di superamento. Bersaglio polemico di
M. è in primo luogo il classicismo cinquecentesco propugnato dalla
Accademia della Crusca. Già nella
Lira si delinea una
personalità poetica destinata a distaccarsi definitivamente dal
petrarchismo rinascimentale, sia nello stile, attraverso uno sperimentalismo
linguistico che spezza la sintassi poetica codificata da Bembo, sia nei
contenuti, poiché la fenomenologia della passione erotica in
M. si
amplia fino a contemplare realtà fisiologiche ed emotive che Petrarca non
autorizzava. L'ispirazione lirica di
M. si pone sotto l'egida di Ovidio,
riproducendo nel sentimento erotico tutta una serie di variazioni eleganti e
mondane che si collocano all'insegna degli
Amores ovidiani.
Caratteristica di
M. anche in altre sue opere, e in particolare nella
Sampogna, è proprio questo rifiuto di ogni possibile sublimazione
del sentimento amoroso e una spiccata sensualità che rasenta talora la
lascivia e si compiace di insistere su trame mitiche che comportano la violenza
sessuale. Questi elementi si ritrovano anche nel poema maggiore. L'
Adone
è l'opera che impegnò
M. per molti anni e costituisce la
summa della sua visione poetica, nonché il capolavoro del barocco
letterario italiano. Il progetto originario (concepito forse già nel
1596) era quello di un poemetto mitologico in tre canti che narrasse la vicenda
degli amori tra Venere e Adone, ma il disegno iniziale si andò ampliando
nel corso degli anni con l'aggiunta di racconti secondari che si intersecarono
con quello principale fino a raggiungere le dimensioni attuali di 20 canti.
Tutto il poema rappresenta una messa in questione del poema classicistico e
tassiano, a partire dalla scelta del soggetto (che risulta polemica rispetto al
dibattito sul vero e sul verosimile che si sviluppa nel tardo Cinquecento e si
concentra sulla tematica amorosa tralasciando quella propriamente epica) per
continuare con la strutturazione dell'intreccio, che presenta una continua
sovrapposizione di piani narrativi, con prolungate digressioni estranee al
genere "poema". L'
Adone è l'applicazione estrema e grandiosa del
principio estetico marinista secondo il quale fine della poesia deve essere
quello di "meravigliare" e "stupire" il pubblico. La meraviglia è l'esito
di una scrittura tutta giocata sull'eccesso: di qui la ricerca di un virtuosismo
tecnico esasperato, che si esprime soprattutto attraverso le forme della
descrizione e dell'elogio, entrambi sproporzionati nella misura ed enfatizzati
nel tono. L'opera segna anche la definitiva rottura del faticoso equilibrio
raggiunto nel secondo Rinascimento tra natura ed arte, natura e cultura, con
preferenza accordata alla seconda. Il linguaggio appartiene al dominio
dell'arte, intesa anche come artificio, e di qui deriva la sua natura preziosa e
colta, la sua sostanziale mancanza di innocenza. L'opera di
M. è
quindi una sofisticatissima operazione di cultura e di stile, che accoglie
suggestioni letterarie diversissime, che vanno da Ovidio ad Apuleio, ai poeti
decadenti latini e greci, ma le rifonde insieme a rappresentare le istanze di
una civiltà, quella del Barocco secentesco, che ha smarrito la fiducia
nella possibilità di una conoscenza razionale della realtà, e si
affida ormai all'intuizione dei sensi (Napoli 1569-1625).